giovedì 13 settembre 2012

" C' era una volta in Anatolia" di Nuri Bilge Ceylan


                                   UNA STRUGGENTE EPOPEA DELL' UOMO
                                                 voto: ****        Turchia-2011


                                                
Lungo  desolate campagne sconfinate e strade notturne e misteriose della Turchia , tre auto viaggiano apparentemente senza meta alla ricerca di qualcosa. Il commissario Naci (Erdogan), insieme al procuratore Nusret (Birsel) e al dottor Cemal (Uzuner) viaggiano insieme al sospettato d’ omicidio Kenan (Firat Tanis) alla ricerca del luogo dove quest’ ultimo avrebbe sepolto il cadavere dell’ amico ucciso pochi giorni prima. Ambienti simili e poco differenti l’ uno dall’ altro, uniti  alla stanchezza cavalcante del percorso,  renderanno inutili le ricerche fino all’ alba. L’ équipe decide quindi di fermarsi a rifocillarsi e riposarsi in uno sperduto paesino dove saranno affettuosamente accolti dal sindaco e dalla bellissima figlia, per poi proseguire le ricerche. Lo snervante viaggio  si concluderà con la riscoperta del cadavere e il trasferimento del corpo all’ ospedale più vicino per il riconoscimento della vittima da parte della moglie e l’ autopsia del dottor Cemal.
Un film corale che presenta varie ambientazioni e vari protagonisti nella sceneggiatura non basta a definire la complessità dell’ ultimo lavoro di Nuri Bilge Ceylan, vincitore del Premio della Giuria al 64^  Festival di Cannes. Si tratta di un film complesso , magistralmente girato e profondamente riflessivo. La sceneggiatura è pervasa fin dall’ inizio da un forte respiro  d’ ambiguità che non chiarisce mai l’ andamento della  sceneggiatura e che si trascina per  quasi tutto il film, fintando la stoccata allo spettatore varie volta, senza mai concluderla. Nella parte iniziale, soprattutto durante le continue attese nella  ricerca di un cadavere che non si trova, l’ intreccio è pervaso da numerosi dialoghi di forte quotidianità fra i poliziotti, il procuratore e il medico e tutti i personaggi  in ordinari piani fissi, alternati da inquadrature scenografiche di forte impatto e inaspettata suggestione. Un ibrido scenografico che dà molta suspance alla prima parte del film che apparentemente potrebbe sembrare prolissa e eccessivamente dilatata. I dialoghi diventano man mano più serrati e danno corpo alla sceneggiatura come dimostra il discorso fra il procuratore e il medico. Nusreti racconta infatti  di una donna bellissima e amabile  che riuscì a prevedere la sua morte. La donna in cinta,          
  che poi si scoprirà essere sua moglie, molti mesi prima, era sicura della data esatta della morte, che sarebbe avvennuta, a detta sua, immediatamente dopo il parto. Cemal in modo disincantato e scientifico farà capire al procuratore che si trattò di suicidio premeditato , causando lo sgomento nel legale. Si tratta di un racconto che percorre tutto il film e che si trascina durante tutta la pellicola, mostrandosi di importanza focale. Un confronto  che lascia perplessi e insicuri durante l’ intera proiezioni. Dubbi che trovano contatto solo quando nella storia si intromettono altri due personaggi femminili: la figlia del sindaco, che lascia sgomenti tutti per la sua purissima bellezza e la moglie del defunto, che dopo il riconoscimento del marito ucciso, se ne andrà commossa ma  composta dall’ ospedale, sotto gli occhi del dottor Cemal, insieme al figlio (che si scoprirà essere, in realtà, il figlio suo e dell’ omicida Kenan). Un’ attenzione alla donna e alle sue caratteristiche  non usuale, che suggerisce un leitmotiv femminile. Sembra quasi che il regista abbia voluto evidenziare tre diversi elementi legati alla femminilità: la crudeltà (emersa dalla condotta della moglie del procuratore, che si toglie la vita per vendicarsi del tradimento del marito), la bellezza ineffabile che lascia sgomenti (mostrata dal viso angelico della figlia del sindaco) e l’ infedeltà accompagnata dalla forza, mostrata dalla moglie del defunto. Un punto focale apparentemente secondario quello descritto ma che segue sempre la storia, senza mai abbandonarla e su cui l’ epilogo del film strozzato si concentra perentoriamente.
Tecnicamente,             la regia è sicura e di ottimo livello. Pur essendo un film d’ attesa, quello di Ceylan è un’ opera pregna di significato e di “Cinema”, nella sua più pura definizione  e mi riferisco alla scenografia inquietante, le luci puntuali e dilatate, l’ utilizzo di colori sempre caldi e di sfumature scivolanti  ma anche di dettagli in primissimo piano eloquenti e affilati. Stupenda ed estremamente fisica l’ ultima sequenza, quella dell’ autopsia, molto rude e cruda, tanto da sentire i rumori della carne che si tocca, degli organi che si esportano, del sangue che circola. Scena che impreziosisce ancora di più una pellicola di ottimo livello espressivo e sceneggiativo, che ammaglia e inquieta;  che vince giustamente a Cannes e che fa bene al Cinema, per la sua complessità, il suo linguaggio, la sua Arte.  
Pochissimo successo  di sala e ingiusto ma  presumibile flop al botteghino, con poche decine di migliaia di euro di guadagno e scarsa distribuzione in Italia. Per fortuna Brescia dà la possibilità di ammirare uno dei migliori film dell’ anno.

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