giovedì 20 dicembre 2012

"La bicicletta verde" di Haifaa Al-Mansour


                           LA DONNA ISLAMICA IN UN DRAMMA "OCCIDENTALE"



                                                    voto: ** e mezzo     (Arabia Saudita-2012)

Immersa nell' Islalismo più profondo, in quell' Arabia Saudita integralista e profondamente radicata nella cultura maomettana, la piccola Wadjda (Waad Mohammed) cresce con la madre (lasciata dal marito perché incapace di avere figli maschi) in un ambiente ostico e misogino. Tuttavia con brillante furbizia ed enorme pervicacia essa riesce a conservare gelosamente i propri desideri e passioni che vanno dalla musica rock ai videogiochi, contrari al canonico modello di comportamento e moralità di una virtuosa donna musulmana . Simbolo di questa contrarietà e irriverenza giovanile sono le calzature della ragazzina, unica ad indossare un paio di “Converse” colorate invece dei classici sandali delle sue compagne di scuola. Secondo la visione comune è bene che le donne non usino la bicicletta poiché rischiano di rimanere sterili ma la giovane Wadjda non desidera altro e vuole riuscire ad averne una per sfidare l' amico Abdullah (Algohani) ma il prezzo è troppo alto e la madre non se la può permettere. Sarà in questo modo che la ragazza comincerà ad intensificare la sua attività di composizione di braccialetti che vende clandestinamente all' interno della scuola esclusivamente femminile. Ma i profitti non bastano e la gara di Corano di lì a pochi mesi, che prevede per la vincitrice un premio di mille corone, sembra un' occasione perfetta per realizzare il proprio sogno, sebbene lei non sia una studentessa modello e la preside della scuola sia ferventemente contraria alle sue abitudini.

Il film racconta l' angosciante situazione femminile islamica e impersonifica quel naturale desiderio di emancipazione e libertà nelle giovanili forme di una bambina coraggiosa che senza violenza diventa simbolo accattivante di una rivoluzione individuale, fatta di indipendenza e caparbietà. Pellicola di condanna che crea una vero e proprio parallelismo tra il retrogrado fanatismo islamico e la dolce evasione di una piccola ribelle. Opera armonica che prende quota progressivamente, in particolare nel finale, raggiungendo un buon ritmo sceneggiativo, influenzato chiaramente dal Cinema americano e dalla commedia statunitense, sia nell' utilizzo della cinepresa che nello sviluppo dell' intreccio. Aspetto che rende la trama a tratti prevedibile e presumibile dallo spettatore, malgrado una forte organizzazione profilmica carica di realismo. La durata di non più di 100' porta          

lunedì 10 dicembre 2012

"Ruby Sparks" di Jonathan Dayton e Valerie Faris

         

          WILDER E ALLEN IN UNA NUOVA E BRILLANTE COMMEDIA ROMANTICA




                                                   voto: ***         (USA-2012)


Calvin Weir-Fields (Paul Dano) è uno scrittore di precoce successo. Il giudizio di genio gli viene accostato spesso ma un' inattesa crisi espressiva non gli permette più di scrivere. Tutto ad un tratto la creatività, che lo ha reso uno scrittore conosciuto e ammirato, lo abbandona misteriosamente. Nemmeno il suo psicanalista Dott. Resenthal (Elliot Gould) riesce a risolvere le difficoltà e lo smarrimento di Calvin, incolpando soltanto la sua isolatezza emotiva. Come in una fiaba dei fratelli Grimm, il potere dei sogni viene in soccorso al protagonista che, da un momento all' altro, inizia a immaginarsi nel sonno in modo chiaro e nitido una ragazza di cui si innamora e che incontra ogni notte. Ne viene letteralmente folgorato e più cresce la conoscenza e l' amore verso questa inattesa dea naif, più cresce nel giovane romanziere una nuova e fresca ispirazione artistica e un impulso quasi fisico con la macchina da scrivere che non abbandona più. Il nuovo romanzo prende forma e la protagonista Ruby Sparks (Zoe Kazan) viene delineata con precisione prodigiosa, sempre più profondamente. Un nuovo entusiasmo permane la personalità di Calvin, sempre più innamorato della magica e onirica Ruby, fino a quando una mattina, misteriosamente, il ragazzo incontra proprio la protagonista del suo manoscritto nel salotto di casa . Lo scrittore è riuscito a creare una persona in carne ed ossa, speculare al personaggio dei suoi sogni. L' iniziale preoccupazione di follia lascia presto il passo ad uno stupore incredulo e, senza pensarci troppo su, i due cominciano a vivere la loro storia d' amore. Una relazione che, malgrado sia con una ragazza inventata e vicina al proprio ideale, nasconderà problemi, incomprensioni e divergenze che causeranno il logoramento della coppia e porteranno il protagonista a riflettere su di sé e sui propri sentimenti.

Una commedia romantica, fresca e brillante il nuovo film diretto a quattro mani da Jonathan Dayton e Valerie Faris, che mette in scena una storia d' amore fantasiosa e irreale ma sempre coerente, originale e curiosa. Influenzata in parte dallo stile fantasioso di Woody Allen da un lato (espresso in alcune pellicole come “La rosa purpurea del Cairo” e il più recente “Midnight in Paris”) e dalla commedia anni '60 di Billy Wilder, i medesimi produttori del piacevole “A Little Miss Sunshine” sponsorizzano una pellicola dinamica e armonica in tutti i suoi aspetti. La regia è ordinata, lineare e sorretta da sequenze ristrette che regalano grande varietà alla narrazione. L' ampio cast offre una performance di ottimo livello, soprattutto nel protagonista Dano (presente anche in “A Little Miss Sunshine”), in Antonio Banderas (il patrigno di Clavin) e nella coprotagonista Kazan, nipote del grande regista di        

venerdì 7 dicembre 2012

"Di nuovo in gioco" di Robert Lorenz


                                           
                                          ESORDIENTE IN VECCHIO STILE


                                                        voto: *          (USA-2012)


Gus Lobel (Clint Eastwood) è un anziano scout degli Atlante Braves, una delle squadre della Major league americana di baseball. Acciaccato e sempre più ombra di se stesso, malgrado il suo mordente, la passata leggenda del mercato comincia ad essere sempre più lontano anche dalla dirigenza che, non fidandosi più di lui, invia altri osservatori nelle sue zone. Preoccupazioni non peregrine, visto che ormai la vista di Gus è molto diminuita e, a causa di un grave annebbiamento, non riesce nemmeno più a vedere nitidamente il campo e i giocatori, basandosi per lo più su rumori e suoni di mazze e lanci. Intuizioni che tuttavia riveleranno a tutti il suo vero talento dato dai lunghissimi anni sul campo e non da sterili statistiche su uno schermo. Un rapporto con il suo lavoro e col baseball quasi fisico e totale quello di Lobel, che senza lavoro non è più , non esiste più, non si sente vivo. Sarà per questo motivo che Pete Klei (Goodman), vecchio amico e dirigente sportivo, rendendosi conto dei suoi problemi e del rischio che la dirigenza non gli rinnovi più il contratto, chiama la figlia Mickey (Amy Adams), la sua unica famiglia, chiedendole di andare da lui per qualche giorno. Mickey, avvocato di spicco in uno studio di Atlanta, decide dopo un iniziale rifiuto di stare per un paio di giorni dal padre per sorreggerlo e per cercare di ricostruire un rapporto compromesso da tempo per lo zelo eccessivo del genitore e la morte prematura della madre. L' inaspettato incontro porterà ad una serie di eventi che riavvicineranno i due, riportando alla luce lontane verità e restituendo un nuovo e fresco affetto ed una tenera empatia che porterà i protagonisti a capirsi, ritrovarsi e perfino a collaborare lavorativamente. Il tutto condito dalla presenza di un giovane scout, Johnny (Timberlake), ex promessa scoperta da Gus, che sedurrà la giovane, allontanandola dallo stress lavorativo per riavvicinarla all' umanità e alla passione del baseball e quindi all' affetto perduto per il padre troppo assente.

Ritorno sul grande schermo da solo attore di Eastwood , che viene diretto da Robert Lorenz che , dopo anni da produttore, produttore esecutivo e aiuto regista anche di grandi film come “Million dollar baby” e “Gran Torino”, realizza la sua prima pellicola da regista. Hollywood torna a parlare di baseball (dopo il buon “Moneyball” di Miller dell' anno scorso) dall' interno e cioè dal punto di vista dei dirigenti, scout, osservatori e addetti ai lavori. E sempre con quella tendenza manichea nel mettere a confronto la tradizione del passato e di uno sport vissuto sulla pelle, a stretto contatto col campo ed il “nuovo”, la tecnologia, il progresso, quelle statistiche che fanno valutare un giocatore solamente dai suoi dati demoscopici. Lo stile dell' esordiente autore si rivela però        

lunedì 15 ottobre 2012

"Reality" di Matteo Garrone

                                 UN  PAMPHLET SULLA CORRUZIONE MEDIATICA



                                                          voto: ***     (Italia-2011)

Luciano Ciotola (Aniello Arena) vive a Napoli con la moglie e i suoi figli. Commerciante e gestore di una pescheria, grazie anche a delle truffarelle rionali di prodotti casalinghi automatizzati riesce a sbarcare il lunario e tirare avanti.  Per assecondare un desiderio della figlia più piccola, in un centro commerciale, partecipa alle selezioni per entrare nella casa del Grande Fratello. Il semplice gioco si trasforma in realtà e il verace napoletano verrà chiamato a Roma per sottoporsi ad altri provini.  Raggiunge la capitale con la famiglia e , malgrado l’ iniziale timidezza, sosterrà l’ audizione che a detta sua è stata molto positiva e che lo proietta direttamente nella casa: la sua partecipazione al reality sembra sicura. Accolto a casa come un eroe da parte di tutti, Luciano vive momenti di popolarità cittadina e si crogiola nell’ attesa della fatidica chiamata da Roma. La comunicazione tuttavia stenta ad arrivare e in queste settimane di attesa spasmodica e trepidazione  ansiosa , mentre l’ inizio del programma si avvicina sempre di più, Luciano perde giorno dopo giorno ogni contatto con la realtà. Teme di essere perseguitato da spie del programma  che vogliono scoprire la veridicità delle sue affermazioni in provino e  per le quali comincia ad essere eccessivamente magnanimo con tutti, regalando mobili e oggetti di casa sua a totali estranei. La sua ossessione lo porta a intravedere astuti informatori televisivi dietro sommesse e austere signore devote e a stupirsi innaturalmente della presenza in casa sua di un grillo che lo guarda insistentemente. La pescheria verrà venduta perché per le future interviste non ci si può permettere di mostrarsi dei fetenti e il bagno verrà trasformato in un confessionale. La situazione è insostenibile e, capito ormai che Luciano non parteciperà a nessun programma televisione, la famiglia si unisce intorno a lui per aiutarlo in questo complesso momento. Entrerà quindi a far parte attivamente della vita religiosa cittadina,  partecipando a funzioni, celebrazioni e opere di carità, fino a recarsi a Roma per un’ importante celebrazione religiosa ai piedi del Colosseo. Ma l’ occasione è troppo allettante per l’ irrecuperabile Luciano che sgattaiolerà via per recarsi là, nella casa tanto bramata, tanto desiderata. La raggiungerà e dopo esserci misteriosamente entrato si sdraierà in giardino, dove si lascerà andare  ad  una risata liberatrice e beata  in quell’  ambiente a lungo agognato.
Una commedia satirica la nuova fatica di Matteo Garrone,  che ha realizzato un film di forte teatralità espressiva e molto vicino  alla farsa napoletana  che va a rintracciare con occhio cinico e critico la reazione sociale del pubblico di massa alla rivoluzionaria stagione dei Reality Show. Un condizionamento alienante e mediatico che si instaura nella quotidianità, disequilibrandola e rompendone  gli schemi. Un’ iperbolica visione del potere mediatico e di medium di massa della

venerdì 12 ottobre 2012

"On the road" di Walter Selles


                                                       voto: **               (USA-2012)

La generazione dei ventenni del secondo dopo guerra americano  nelle zone di New York è il fulcro di un enorme fremito  intellettuale ed evasione emotiva, che sperimenta nuovi stili di vita e ricerche spasmodiche di realtà anticonvenzionali e antitradizionali. La letteratura è centrale in questo ambiente che si rivela coacervo di slanci artistici e ricerca formale e poetica. Lo scrittore Sal Paradise (Sam Riley), pseudonimo di Jack Kerouac, l’ autore del romanzo su cui si basa l’ intero film, assorbe da questo ambiente influenze e tendenze, riscoprendo profonde amicizie, amori estremi e ispirazioni poetiche. Il giovane e ambizioso scrittore conosce Dean Moriarty (Hedlund), personaggio che si ispira al poeta Neal Cassady, compagno di viaggio di Kerouac. Fra i due si instaura subito una grande complicità che li porterà a viaggiare in continuazione per tutto il territorio statunitense e oltre:  da New York (luogo in cui fanno conoscenza) a Denver, dall’ Alabama alla California, da San Francisco a Città del Messico. Viaggi vissuti dai due alla fine degli anni ’40 e che porteranno il giovane Paradise a scrivere, recuperando  i vari appunti da viaggio conservati durante gli anni, “On the road”, romanzo autobiografico , scritto in tre settimane su un rotolo di carta da tappezzeria lungo 36 mm, divenuto il manifesto culturale della cultura “Beat” americana, la cosiddetta “Beat Generation”.
Per trasformare in immagine un libro impossibile, il regista Walter Selles (autore anche dell’ indimenticabile “I diari della motocicletta”)  ha lavorato 8 anni e percorso più di 100 mila chilometri. Per non far annoverare il suo progetto come chimera, come successe già nel 1957 (quando i si cercò di realizzare una pellicola basata sul romanzo, coinvolgendo grandi star come Marlon Brando), Selles segue la stessa logica sperimentale dei film su Guevara, partendo dalle tracce di Kerouac, sfiorando luoghi e persone che in qualche modo abbiano potuto riguardarlo, con uno sguardo prima documentaristico e poi narrativo. E ed è questo approccio che non esalta il ritmo dell’ intera opera. Realizzare un film sulla Bibbia della “Beat Generation”, un racconto di viaggio che rappresenta anche rivolta generazionale e formazione giovanile è probabilmente uno sforzo che il Cinema, in quanto mezzo artistico e linguistico, sia per limiti temporali che formali, non può soddisfare completamente  ma, tuttavia, un’ organizzazione sceneggiativa prolissa e monocorde come questa non può sicuramente ambire a invertire questa difficoltà, anche parzialmente. La scenografia e le ambientazioni, insieme all’ attenzione caratteriale ai  protagonisti e ai vari personaggi, mostrano        

giovedì 11 ottobre 2012

"Resident Evil - Retribution" di Paul W. S. Anderson

       SCARSA INVETTIVA E POCO PATHOS NELL' ULTIMO CAPITOLO DELLA SAGA

                                                  voto *          (USA-2012)


     La Umbrella Corp.  è riuscita ad assoggettare l’ intera economia mondiale sotto la guida di un computer spietato e inarrestabile: la Regina rossa. In un ambiente da guerra fredda, dopo le sperimentazioni virali della compagnia, il virus viene venduto alle maggiori potenze mondiali, scatenando un cataclisma mondiale e contagiando  quasi l’ intero pianeta. Per testare il virus e mostrarlo ai futuri acquirenti, nel territorio della Kamčatka, nella sconfinata  penisola di ghiaccio russa, l’ organizzazione ha costruito degli ambienti artificiali che riproducono le maggiori capitali mondiali, ricostruite fedelmente sotto il suolo grazie a proiezioni olografiche e prototipi umani ricalcati da soggetti realmente esistiti, presenti nei progetti passati della Umbrella.  Ed è proprio all’ interno di questa enorme costruzione sotterranea che si risveglia il guerriero Alice(Milla Jovovich),  che viene segregata e torturata dai suoi ex compagni, tra cui Jill (Guillory), ormai sotto il controllo del nemico.  Albert Wesker (Roberts), in passato alleato della Umbrella ma ormai unico vero alleato, riesce a creare un black-out nel sistema e , eludendo la sorveglianza, a liberare Alice. Malgrado l’ iniziale diffidenza del soldato, Wesker spiegherà alla donna di averla liberata per salvare il genere umano, ormai messo a ferro e fuoco dall’ implacabile avanzata degli zombie .  Ma prima di unirsi alla resistenza Alice e la sua assistente Wong (Li) dovranno superare alcuni degli spazi riprodotti dall’ organizzazione incolumi e raggiungere l’ ascensore insieme alla squadra speciale che le sta cercando dalla parte opposta del complesso sotterraneo. Ben presto la regina rossa riesce  ad espellere il virus e a dare la caccia agli intrusi. Il videogame ha inizio!
L’ organizzazione del film riprende in effetti un vero e proprio videogioco con alcune storie parallele che si incrociano, rivelando vari retroscena; la continua ricerca della salvezza e di una via di fuga; l’ irrefrenabile lotta per la sopravvivenza tra soldati spietati e mostri assetati di sangue. Insomma un’ intreccio che prosegue step by step come nel miglior videogioco d’ avventura. E questo ritorno alle origini può risultare anche piacevole se non fosse disintegrato da un’ organizzazione formale e sceneggiativa  roboante  quanto caotica e prolissa. Aspetto innaturale visto che siamo di fronte ad un film di pura azione, uno spara tutto che dovrebbe ispirare qualsiasi emozione  fuorché  annoiare lo spettatore.      

giovedì 27 settembre 2012

"Pietà" di Kim Ki-Duk

                      ANTI CAPITALISMO E  UMANITA' IN UNA POESIA ESPRESSIVA

            
   Un brutale e anaffettivo esattore di debiti, Lee Gang-Do (Lee Jung-Jin),  vive e lavora con distaccato nichilismo e sanguinaria violenza tra le vie industriali di una periferia metropolitana fatiscente e misera.  Il denaro è al centro della vita di tutti e gli strozzini la fanno da padrone, chiedendo il 1000 per cento di interesse e mutilando i cattivi pagatori per mano dei loro scagnozzi. Il popolo è inerme e non raramente sceglie di togliersi la vita. Gang-Do non si fa mai condizionare e continua il suo lavoro con fredda determinazione e spietata lucidità, fino a che un giorno si presenta alla sua porta una donna, Jang Mi-Seon (Jo  Mi-Soo), che sostiene di essere sua madre. Pregandolo di perdonarla per averlo abbandonato appena dopo il parto per paura giovanile, la donna continua a seguirlo, gli procura il cibo e gli rassetta casa e, malgrado la feroce aggressività di Gang-Do, che si scatena anche su di lei in più occasioni, continua ad  accompagnarlo e scusarsi con lui fino a convincerlo. Il rapporto si consolida fino a che la paura della  vendetta  da parte di alcune delle sue vittime , si innesta  nell’ animo del giovane e la donna, rendendosene conto, scatena tutta la sua violenza materna  e rivelandosi la madre non sua ma di una delle sue vittime lo porterà alla conoscenza del sentimento della pietà e dell’ abbandono  e quindi all’ autodistruzione.
“Pietà”  è una pellicola di forte impatto espressivo, si  inserisce perfettamente nello stile del regista Kim ki-Duk e va a rintracciare con lucida introspezione il sentimento amoroso materno, la vendetta, la pietà  e  la paura, veicolandoli nelle espressioni e nelle lacrime dei due protagonisti, che sono seguiti costantemente da una telecamera che si tuffa nel quotidiano più intimo dei personaggi , mostrando il nucleo emotivo più profondo dei protagonisti.  Il regista riflette sul senso di colpa, sulla crudeltà senza limiti del mondo di oggi, sull’ importanza del denaro che crea questa brutalità, sulla vendetta come unica logica conosciuta e su un amore materno che sfocia nella conoscenza di uno dei sentimenti più umani: la pietà (titolo del film e locandina che rappresenta  “La Pietà” di Michelangelo).  Siamo di fronte ad un film anti capitalista e che in più occasioni riflette sulla nullità e pochezza del  denaro, il quale è nascita e morte di tutti i dissidi umani, che rende brutali e miopi, allontanando dall’ umanità e dai sentimenti elementari, quell’ emotività originaria che nel film coincide con la riscoperta della prima affettività materna.  Tecnicamente e stilisticamente la pellicola  appartiene alla tendenza formale del regista coreano. Il dialogo viene sostituito in più occasioni dalle  azioni con  inquadrature semi soggettive e neutre   sulle espressioni dei protagonisti che spesso risultano più eloquenti di molte  parole. La scenografia è articolata e complessa , ritraendo  un quartiere desolato e industriale e lo fa con accurata precisione. Un ambiente che viene esaltato da una fotografia meravigliosa e una messinscena geniale che rende elegante e naturalmente armonica  e  raffinata  ogni scena come nel  quadro di un artista. I colori sono cupi e sbiaditi come nell’ ambiente circostante e nell’ intimità dei personaggi, crescendo d’ intensità e gradazione con il tempo narrativo. L’ eleganza formale del regista coreano è inalterata e        

mercoledì 26 settembre 2012

Complimenti!



E sarà "Cesare deve morire" dei fratelli Taviani a partecipare alla notte degli "Oscar" 2012. Era nell' aria già da tempo, già dalla vittoria del 62/mo  festival di Berlino probabilmente, che questa pellicola era destinata a grandi riconoscimenti. E così è stato e sarà. In viaggio per New York, dove parteciperanno al festival della grande mela, i cineasti hanno commentato la bella notizia: "Siamo felici ed è solo l' inizio di un bel viaggio. C'è tanta strada da fare!" e auguriamoci che sia veramente così per una pellicola italiana che per livello formale e artistico espatria grande qualità espressiva e conoscenza cinematografica. E' grazie a queste produzioni che l' Italia rimane uno dei poli artistici del mondo del Cinema e non ostante le case di produzione e distribuzione nazionali sembra che remino contro questo grande Cinema (ricordo che il film dei Taviani è passato in sordina nella sale italiane), auguriamoci che a suon di risultati come quest' ultimo la tendenza cambi e che i vari produttori artistici e distributori puntino sull' Arte e non sempre e comunque sulla vendita di un prodotto. Spero di non sembrare un sognatore utopistico anche se sono cosciente che "la strada è ancora lunga".

Un elogio profondo nasce per i due registi. Quasi 163 anni in due e una carriera artistica ampia ma elitaria, che è arrivata alla consacrazione non in molte occasioni. Ricordiamo il loro indimenticabile "Padre , padrone" nel 1977,  "La notte di San Lorenzo" , premiati rispettivamente con la Palma d' oro e il David e quest' ultimo splendido "Cesare", come le migliori e indimenticabili pellicole della loro longeva carriera. Grandi Maestri d' Arte, grandi Cineasti italiani, che non hanno ancora smesso di creare.

mercoledì 19 settembre 2012

"Prometheus" di Ridley Scott


                 UN GRANDE RITORNO AD UNA FANTASCIENZA D' ALTRI TEMPI

                                                   voto: ** e mezzo          (USA-2012)



Sull’ isola di Skye, in Scozia, nell’ anno del signore 2089, gli scienziati  archeologi Elizabeth Shaw (Noomi Rapace) e Charlie Holloway (Logan Marshall-Green)  scoprono in una grotta delle pitture di migliaia di anni prima  che raffigurano dei giganti che indicano una costellazione. Sovrapponendo questo disegno stellare a vari altri reperti storici,  dimostrano che in tutte queste scoperte appare la medesima immagine, che sembra essere una mappa stellare e , secondo la dott. Shaw, addirittura un invito a raggiungere i veri creatori del mondo e del genere umano: i cosiddetti “Ingegneri”. La Weyland Corporation finanzia, alla luce di queste scoperte, la costruzione della navicella “Prometheus” che con una équipe di scienziati raggiungerà nel 2093 la luna LV-223, l’ unico luogo ospitale  della disposizione di pianeti corrispondenti al disegno. Oltre alla presenza nell’ operazione dei due archeologi affiancati da vari altri scienziati,  l’ androide David (Michael Fassbender) si occuperà  della salute dei viaggiatori e della gestione di Prometheus, il comandante dell’ operazione è l’ affascinante e schietta Meredith Vickers (Charlize Theron) e la guida del vascello è affiata al divertente Capitano Janek (Idris Elba). La spedizione scientifica ha inizio con scoperte eccezionali che dimostrano la passata presenza di una civiltà molto più evoluta di quella umana, reperti alieni quasi perfettamente conservati, evoluzioni genetiche in atto e presenza di esperimenti scientifici inquietanti. La situazione tuttavia rimane sotto controllo fino alla  prevedibile  morte di due membri dell’ equipaggio, che si perdono nelle grotte anguste del sito ed entrano a contatto con strane forme di vita, somiglianti a rettili che entrano nel loro organismo, trasformandoli geneticamente.  Nel frattempo David decide di capire fino in fondo gli effetti dello strano liquido ritrovato nelle grotte sull’ uomo e decide di contaminare il bicchiere di Charlie. L’ infezione non gli darà scampo e , malgrado un ritorno frenetico alla nave, il comandante Vickers lo ucciderà. Rimasta sola, la dott. sa Shaw, malgrado la sua sterilità,  scoprirà di essere rimasta in cinta di Charlie e di contenere un  organismo sedimentario alieno, un feto somigliante ad un calamaro che tuttavia  riuscirà a estrarre con un’ improvvisato parto cesareo.  Le scoperte sembrano essere arrivate ad un punto morto. Le speranze di parlare con gli “Ingegneri” e di scoprire il mistero  dell’ esistenza del genere umano sembrano vane fino a che David riesce a scoprire il corpo ibernato ma ancora vivo di un alieno. Ben presto questo popolo si mostrerà non pacifico e il satellite in cui si trovano risulta essere un grande laboratorio militare per le sperimentazioni genetiche di armi di distruzione di massa, costruite per distruggere la  Terra. L’  unico superstite infatti, dopo aver ucciso parte dell’ equipaggio,  cercherà di partire con la navicella  nascosta sotto la grotta  verso la Terra,  per distruggerla. Il capitano Janek e i suoi piloti glielo impediranno scaraventandosi con Prometheus contro la nave nemica e la dott.sa Shaw riuscirà a fuggire dall’ alieno dandolo in pasto al suo feto ormai cresciuto, che entrerà nel suo corpo , facendo nascere uno strano xenomorfo, il  primigenio Alien. Elizabeth , credutasi ormai sola e spacciata ,  riesce però a entrare in contatto con David che, se pur decapitato dall’ alieno, è ancora funzionante. L’ androide gli comunica la presenza sul pianeta di molte altre navicelle e la possibilità di pilotarle e fuggire da lì. I due riusciranno ad andarsene e a dirigersi, per volontà della dottoressa, sul pianeta natio degli Ingegneri per capire il perché vogliano annientare l’ umanità.
La nuova fatica di Ridley Scott che firma anche la produzione del film ha un sapore amarcord e rappresenta  un ritorno coerente al passato,        

lunedì 17 settembre 2012

Pellicole italiane a Hollywood


Dieci le opere italiane in lizza per partecipare alla notte dell' Academy Awards per il premio Oscar come miglior film straniero.  I film sono i seguenti:

-"Bella addormentata" di Marco Bellocchio

-"Cesare deve morire" dei fratelli Taviani

-"Il cuore grande delle ragazze" di Pupi Avati

-"Diaz" di Daniele Vicari

-"E' stato il figlio" di Daniele Ciprì

-"Gli equilibristi"  di Ivano De Matteo

-"La-Bas, educazione criminale" di Guido Lombardi

-"Magnifica presenza" di Ferzan Ozpetek

-"Posti in piedi in  paradiso" di Carlo Verdone

-"Reality" di Matteo Garrone

Il 26 settembre una commissione di giuria istituita presso l' ANICA (l' associazione nazionale di industrie cinematografiche audiovisive e multimediali) composta da nomi illustri della critica e del Cinema Italiano, tra cui Paolo Mereghetti, Nicola Borrelli, Francesco Bruni, Nicola Giuliano, Fulvio Lucisano, Piera Detassis, Valerio De Paoli e Martha Capello, decreterà il vincitore e il concorrente nella categoria "Miglior film straniero" nell' 85^ edizione dei Premi Oscar.
Siamo di fronte a film di buon livello sia recitativo che tecnico. Delle buone produzioni dalle quali però spicca   per prestigio e bellezza quella dei fratelli Taviani, che rappresenta veramente un diamante, un capolavoro espressivo ed artistico. Noi tifiamo per la tragedia teatrale ed umana del carcere di Rebibbia!

"Cesare deve morire" di Paolo e Vittorio Taviani

                                          SHAKESPEARE E TEATRO A REBIBBIA

                                                 voto:*** e mezzo         (Italia-2011)




Con l’ ultima scena della morte autoinflitta  di Bruto dopo la congiura romana  delle Idi di Marzo,  si chiude con successo  la rappresentazione teatrale del “Giulio Cesare” di Shakespeare nel teatro del carcere di massima sicurezza di Rebibbia . Dopo di che gli attori-detenuti tornano come ogni giorno in una cella desolata e spoglia, diventata ancora più angusta dopo lo stretto contatto con l’ arte, che in quel periodo li ha aiutati a sopportare la prigionia. Un flashforward  che anticipa l’ inizio cronologico della trama, avvenuto sei mesi prima, quando il direttore del carcere espone ai detenuti il progetto ricreativo teatrale. Ne seguiranno provini, definizione dei personaggi ,  prove di scena e di dialoghi continue e snervanti ma anche stimolanti ed appassionanti, non senza la sofferenza della detenzione, che sembra però assopirsi con questa dichiarativa esperienza artistica da parte di cinque attori carcerati: Cosimo Rega (Cassio), Salvatore Striano (Bruto), Giovanni Arcuri (Cesare), Antonio Frasca (Marcantonio), Juan Dario Bonetti (Decio) e Vincenzo Gallo  (Lucio).
Con un cast di non professionisti e di detenuti reali del carcere romano, Paolo e Vittorio Taviani realizzano un’ opera epica di grandissimo livello formale ed estetico. Confondendosi in un ambiente comunemente sconosciuto come il carcere, i cineasti   producono  una pellicola di forte impatto espressivo che va ad indagare il sentimento umano e intimo dei soggetti carcerati, che tramite un copione teatrale esprimono tutta la loro complessità interiore, frustrazione emotiva e coscienza  psicologica anche grazie a dei dialoghi che, rispetto all’ opera originale,  vengono tradotti  in una lingua provinciale, di  inclinazione dialettale (linguaggio che cambia a seconda delle origini di ognuno dei personaggi) , che dona una spontaneità ed un realismo pirandelliano all’ opera shakespeariana da una parte e un verismo  popolare di enorme umanità e solennità emozionale  dall’ altra. Il   perfezionismo    

venerdì 14 settembre 2012

"Bella addormentata" di Marco Bellocchio

                                  IL RITORNO DI BELLOCCHIO SULL' EUTANASIA
                                   
                                                      voto:***       (Italia 2012)
                                                   




Italia, Febbraio 2009. La drammatica vicenda di cronaca di Eluana Englaro, ragazza in coma vegetativo da 17 anni, per cui i famigliari chiesero di interrompere l’ alimentazione forzata, considerandolo un inutile accanimento terapeutico, scatena  un notevole dibattito sulle prime pagine di stampa e media, riversandosi anche nella politica nazionale, a cui spetta l’ arduo  compito di acconsentire o meno al volere della famiglia. In questa delicata situazione sociale, il senatore Uliano Beffardi (Toni Servillo), deputato della maggioranza berlusconiana del periodo, decide di schierarsi contro la decisione del partito e di votare a favore dell’ interruzione terapeutica e conseguentemente di lasciare il suo ruolo , rinunciando ad una carriera politica superficiale e mistificante. Nel frattempo la figlia, Maria (Alba Rohrwacher), che dopo la morte della madre (anch’ essa tenuta in vita grazie a delle macchine) si è allontanata sempre più dal padre,  decide di recarsi  a Udine, dove Eluana è ricoverata,  per pregare e sperare nella sua sopravvivenza . Nel frattempo  viene raccontata la vicenda di una madre, Divina Madre  (Isabella Hupert), che ha sacrificato la sua vita e la sua carriera recitativa per assistere sua figlia in coma profondo e parallelamente la vicenda di Pallido (Bellocchio), un medico che decide di aiutare una tossico dipendente (Maya Sansa)  che vuole togliersi la vita.

La propensione di Bellocchio verso un Cinema civilmente e socialmente militante e attivo anche in questa occasione non viene tradita e il regista veicola mediante gli occhi dei suoi personaggi un fatto di cronaca reale  e moralmente complesso che ha riguardato l’ Italia intera. Riesce a farlo con un “triple” plot che mostra più possibilità interpretative e possibili posizioni personali davanti ad una questione delicata come quella dell’ accanimento terapeutico e interruzione delle cure per  stati vegetativi irreversibili. Senza retorica e demagogia, il  racconto si presenta          

giovedì 13 settembre 2012

"Rock of Ages" di Adam Shankman


                                        MUSICAL POTENTE E APPASSIONANTE
                                           
                                                      voto: ***     (USA-2012)




Dal lontano e attempato  Oklahoma,  la giovane e bellissima  Sherrie (Julianne Hough) arriva con un bus nella febbricitante e eccitante California. Speranzosa e ottimista, armata solo dei suoi dischi di rock preferiti, vuole scalare la vetta del successo, riuscendo a diventare una grande cantante. Un’ enorme possibilità le si presenta davanti quando grazie all’ aiuto di un giovane cantante, Drew (Diego Boneta), riuscirà ad entrare e successivamente lavorare in uno dei templi assoluti del Rock’n’roll:  il “Bourbon Club”, un locale in vecchio stile “heavy”,  gestito e abitato dal duro Dennis Dupree (Alec Baldwuin) e dall’ eclettico ed effeminato  Lonnie (Russel Brand). Fra i due giovani, che coltivano le medesime passioni, è amore a prima vista e la loro storia ruoterà intorno a musica rock e cantanti leggendari come Stacee Jaxx (Tom  Cruise), icona assoluta del rock che sembra però aver ormai perso la sua natura ribelle in favore del successo economico anche a causa del viscido manager Paul (Paul Giamatti). Il tutto mentre il nuovo sindaco Mike Withmore (Cranston) e l’ inviperita moglie, la signora Patricia Whitmore (Zeta-Jones), minacciano di chiudere per sempre lo storico locale e uccidere l’ assordante e , a detta loro, satanista stagione del Rock.
Trasposizione  cinematografica del famoso musical di Broadway “Rock of Ages”, di cui il regista Adam Shakman si serve per portare alla luce  e raccontare la realtà musicale degli anni ’80, la sua enorme potenza, le sue caratteristiche viscerali, le sue contraddizioni, la sua forza espressiva. Il tutto filtrato in una storia d’ amore adolescenziale che vive su se stessa le dinamiche sociali del rock, subendone condizionamenti e influenze, vivendo quotidianamente a contatto con divi assoluti della musica e seguendone  sogni e desideri, con la speranza di diventare anch’ essi delle superstar. Un musical cinematografico dinamico e divertente che non stanca mai. La buona direzione è accompagnata da un montaggio e          

" C' era una volta in Anatolia" di Nuri Bilge Ceylan


                                   UNA STRUGGENTE EPOPEA DELL' UOMO
                                                 voto: ****        Turchia-2011


                                                
Lungo  desolate campagne sconfinate e strade notturne e misteriose della Turchia , tre auto viaggiano apparentemente senza meta alla ricerca di qualcosa. Il commissario Naci (Erdogan), insieme al procuratore Nusret (Birsel) e al dottor Cemal (Uzuner) viaggiano insieme al sospettato d’ omicidio Kenan (Firat Tanis) alla ricerca del luogo dove quest’ ultimo avrebbe sepolto il cadavere dell’ amico ucciso pochi giorni prima. Ambienti simili e poco differenti l’ uno dall’ altro, uniti  alla stanchezza cavalcante del percorso,  renderanno inutili le ricerche fino all’ alba. L’ équipe decide quindi di fermarsi a rifocillarsi e riposarsi in uno sperduto paesino dove saranno affettuosamente accolti dal sindaco e dalla bellissima figlia, per poi proseguire le ricerche. Lo snervante viaggio  si concluderà con la riscoperta del cadavere e il trasferimento del corpo all’ ospedale più vicino per il riconoscimento della vittima da parte della moglie e l’ autopsia del dottor Cemal.
Un film corale che presenta varie ambientazioni e vari protagonisti nella sceneggiatura non basta a definire la complessità dell’ ultimo lavoro di Nuri Bilge Ceylan, vincitore del Premio della Giuria al 64^  Festival di Cannes. Si tratta di un film complesso , magistralmente girato e profondamente riflessivo. La sceneggiatura è pervasa fin dall’ inizio da un forte respiro  d’ ambiguità che non chiarisce mai l’ andamento della  sceneggiatura e che si trascina per  quasi tutto il film, fintando la stoccata allo spettatore varie volta, senza mai concluderla. Nella parte iniziale, soprattutto durante le continue attese nella  ricerca di un cadavere che non si trova, l’ intreccio è pervaso da numerosi dialoghi di forte quotidianità fra i poliziotti, il procuratore e il medico e tutti i personaggi  in ordinari piani fissi, alternati da inquadrature scenografiche di forte impatto e inaspettata suggestione. Un ibrido scenografico che dà molta suspance alla prima parte del film che apparentemente potrebbe sembrare prolissa e eccessivamente dilatata. I dialoghi diventano man mano più serrati e danno corpo alla sceneggiatura come dimostra il discorso fra il procuratore e il medico. Nusreti racconta infatti  di una donna bellissima e amabile  che riuscì a prevedere la sua morte. La donna in cinta,