martedì 5 febbraio 2013

"Lincoln" di Steven Spielberg


                     STEREOTIPO PEDESTRE L' ULTIMA FATICA DI SPIELBERG




                                                  voto: * e mezzo        (USA-2012)

Alla fine della guerra di secessione americana, dopo quattro anni di sanguinose battaglie e migliaia di giovani vittime, nulla si desidera più della pace tra gli Stati ribelli Confederati del sud e le forze dell' Unione, capeggiate dal presidente Abramo Lincoln (Daniel Day-Lewis). Malgrado il desiderio di concludere il conflitto fratricida, il Presidente non ha intenzione di arrivare alla pace senza intervenire sulla costituzione e modificare il 13^ emendamento, che permette la liberazione dei Neri e la conseguente fine della schiavitù americana. Progetto ambizioso che nasconde intrighi burocratici e controversie sociali ma che alla fine, grazie alla diplomazia dello stesso Lincoln  e alla politica repubblicana (che ricorrerà anche alla corruzione in alcuni casi)  verrà approvato dalla Camera, rivoluzionando per sempre la storia degli Stati Uniti d' America.
Ultimi quattro mesi di Lincoln, prima della tragica morte dell' aprile 1865, narrati da un opaco Spielberg,  che segue in parte il testo di D. K. Goodwin "Team Of Rivals". Film storico che cerca di riprendere fedelmente, sia dal punto di vista scenografico che narrativo uno dei momenti più delicata della storia americana. Uno stile asciutto e scevro da virtuosismi e magniloquenza  accompagna in modo essenziale tutte le sequenze del film, rischiando tuttavia di impoverire una pellicola discretamente lunga, almeno di 150'. La mancanza di dinamismo rappresenta un limite costante dell' intera sceneggiatura  e l' ambizione di rendere l' intera opera riflessiva e misurata quanto il carattere e il fascino politico del presidente Lincoln, rimane un desiderio smorzato. Il soggetto, la figura portante dell' intera opera,  risulta infatti  coerente  e perentoria ma sbiadita; artefatta nei dialoghi e mai del tutto efficace, malgrado sia impersonata da uno dei migliori attori hollywoodiani degli ultimi dieci anni. L' impianto delle scenografie e gli spazi riprodotti, come in generale tutto l' impianto profilmico, sono accuratamente organizzati e dettagliati, una vera e propria proiezione del passato, ma l' intera organizzazione narrativa non risulta mai all' altezza del precedente aspetto e non riesce mai  ad esaltarsi né per tensione,  né per vigore espressivo. Un monostilismo e un monolinguismo stilistico  che rispetta i canoni del genere ma che non dona nulla in più ad una produzione cinematografica monocorde  e tediosa. Il tentativo del regista durante tutto il film è quello di narrare l' intima coscienza politica e diplomatica di uno dei padri fondatori americani, restituendone un' immagine ricurva e saggia, che si esprime solo tramite aneddoti e storie paradigmatiche. Uno statista che vive    

martedì 8 gennaio 2013

Babbo Natale ha gli occhi a mandorla

                         

                           VITA DI PI, UNICO DIAMANTE FRA MISERE PATACCHE



                                                 voto: *** e mezzo      (Cina/USA-2012)

La fine del 2012 e l' inizio del nuovo anno nelle nostre sale cinematografiche sono stati caratterizzati da varie pellicole che, come spesso capita in periodi come questo, non hanno invertito la misera tendenza valutativa delle maggiori distribuzioni . Da una parte molti riflettori hanno puntato sul  ritorno di Jackson che in pompa magna  realizza l' “originario”  e autoreferenziale “Lo Hobbit”, che non ha nulla da dire dopo la fortunata trilogia del “Signore degli anelli”,  dall' altra un thriller d' avventura in classico stile hollywoodiano:  il deludente “La regola del silenzio” , in cui un cast ampio e conosciuto quanto attempato e fiacco  non riesce a suscitare la benché minima tensione  emozionale  e la regia di un Redford d' altri tempi non dona altro che noia e schematismo classico  all' intera pellicola. Segue l' ennesimo adventure-movie di Cruise che sembra voler fare di tutto fuorché rendersi conto dell' età che ha e continua a scorrazzare in mezzo a prevedibili sceneggiature nei panni di un militare implacabile in “Jack Reacher”; accanto,  un ritorno “british” e caotico di  Tornatore che con “La migliore offerta” mette in scena oltre che un ottimo cast, che mantiene il film su buoni livelli, anche le sue qualità  espressive su una sceneggiatura complessa e articolata che naviga fra apparenza e realtà. Il tutto condito da alcune insicure opere animate con “Ralph Spaccatutto” e “Sammy 2” e le immancabili espressioni popolari del Cinema Italiano che sforna il ritorno nazional popolare  di Albanese in “Tutto tutto  niente niente”, la meteora da 7 milioni di euro incassati “I due soliti idioti”  e la commedia (che si presenta come brillante, rivelandosi poco più che un cine-panettone) “Mai stati uniti”.

Un calderone commerciale che visto così non sembra aver molte differenze dalle classiche locandine pubblicitarie dei nostri  Multisala, se non spuntasse in mezzo a questo coerente insieme di vecchio e scassato Hollywood unito a commediole comiche da pizza e mandolino, la nuova e magnifica fatica del taiwanese Ang Lee: “Vita di Pi”. Tratto dall' omonimo romanzo di Yann Martel, il racconto tratta di un ragazzo di Pondicherry (India), Piscine (chiamato Pi),  che già in età giovanissima cercherà di esplorare i misteri della religione e della spiritualità, aderendo a tratti all' induismo, al cattolicesimo e all' islamismo. Da ragazzo, dopo la decisione dei genitori di trasferirsi in Canada,  rimarrà vittima di un terribile naufragio, che lo vedrà sopravvivere in aperto Oceano Pacifico per 227 giorni su una scialuppa insieme ad una tigre del bengala di nome Richard Parker. Un racconto di formazione, caratterizzato da forti influenze testuali, sia religiose che letterarie, da Defoe ai racconti biblici di Giona, da Allan Poe al “Libro di Giobbe”. Elementi  che il regista cerca di mantenere quasi immutati, riuscendo ad esaltarli con una regia brillante e ritmata in ogni sua aspetto e una finezza tecnica da pittore del suo tempo. Sequenze lunghe scandite spesso da  piacevoli long take caratterizzano in particolare il presente, cioè Pi da uomo che si racconta al giornalista che lo intervista sulla sua esperienza ed è proprio da qui che inizia un lunghissimo flashback che dura quasi tutto il film. Un ricordo che viene interrotto raramente dalle domande del reporter, soprattutto dopo lo snodo narrativo del naufragio, sequenza in cui la storia prende      

giovedì 20 dicembre 2012

"La bicicletta verde" di Haifaa Al-Mansour


                           LA DONNA ISLAMICA IN UN DRAMMA "OCCIDENTALE"



                                                    voto: ** e mezzo     (Arabia Saudita-2012)

Immersa nell' Islalismo più profondo, in quell' Arabia Saudita integralista e profondamente radicata nella cultura maomettana, la piccola Wadjda (Waad Mohammed) cresce con la madre (lasciata dal marito perché incapace di avere figli maschi) in un ambiente ostico e misogino. Tuttavia con brillante furbizia ed enorme pervicacia essa riesce a conservare gelosamente i propri desideri e passioni che vanno dalla musica rock ai videogiochi, contrari al canonico modello di comportamento e moralità di una virtuosa donna musulmana . Simbolo di questa contrarietà e irriverenza giovanile sono le calzature della ragazzina, unica ad indossare un paio di “Converse” colorate invece dei classici sandali delle sue compagne di scuola. Secondo la visione comune è bene che le donne non usino la bicicletta poiché rischiano di rimanere sterili ma la giovane Wadjda non desidera altro e vuole riuscire ad averne una per sfidare l' amico Abdullah (Algohani) ma il prezzo è troppo alto e la madre non se la può permettere. Sarà in questo modo che la ragazza comincerà ad intensificare la sua attività di composizione di braccialetti che vende clandestinamente all' interno della scuola esclusivamente femminile. Ma i profitti non bastano e la gara di Corano di lì a pochi mesi, che prevede per la vincitrice un premio di mille corone, sembra un' occasione perfetta per realizzare il proprio sogno, sebbene lei non sia una studentessa modello e la preside della scuola sia ferventemente contraria alle sue abitudini.

Il film racconta l' angosciante situazione femminile islamica e impersonifica quel naturale desiderio di emancipazione e libertà nelle giovanili forme di una bambina coraggiosa che senza violenza diventa simbolo accattivante di una rivoluzione individuale, fatta di indipendenza e caparbietà. Pellicola di condanna che crea una vero e proprio parallelismo tra il retrogrado fanatismo islamico e la dolce evasione di una piccola ribelle. Opera armonica che prende quota progressivamente, in particolare nel finale, raggiungendo un buon ritmo sceneggiativo, influenzato chiaramente dal Cinema americano e dalla commedia statunitense, sia nell' utilizzo della cinepresa che nello sviluppo dell' intreccio. Aspetto che rende la trama a tratti prevedibile e presumibile dallo spettatore, malgrado una forte organizzazione profilmica carica di realismo. La durata di non più di 100' porta          

lunedì 10 dicembre 2012

"Ruby Sparks" di Jonathan Dayton e Valerie Faris

         

          WILDER E ALLEN IN UNA NUOVA E BRILLANTE COMMEDIA ROMANTICA




                                                   voto: ***         (USA-2012)


Calvin Weir-Fields (Paul Dano) è uno scrittore di precoce successo. Il giudizio di genio gli viene accostato spesso ma un' inattesa crisi espressiva non gli permette più di scrivere. Tutto ad un tratto la creatività, che lo ha reso uno scrittore conosciuto e ammirato, lo abbandona misteriosamente. Nemmeno il suo psicanalista Dott. Resenthal (Elliot Gould) riesce a risolvere le difficoltà e lo smarrimento di Calvin, incolpando soltanto la sua isolatezza emotiva. Come in una fiaba dei fratelli Grimm, il potere dei sogni viene in soccorso al protagonista che, da un momento all' altro, inizia a immaginarsi nel sonno in modo chiaro e nitido una ragazza di cui si innamora e che incontra ogni notte. Ne viene letteralmente folgorato e più cresce la conoscenza e l' amore verso questa inattesa dea naif, più cresce nel giovane romanziere una nuova e fresca ispirazione artistica e un impulso quasi fisico con la macchina da scrivere che non abbandona più. Il nuovo romanzo prende forma e la protagonista Ruby Sparks (Zoe Kazan) viene delineata con precisione prodigiosa, sempre più profondamente. Un nuovo entusiasmo permane la personalità di Calvin, sempre più innamorato della magica e onirica Ruby, fino a quando una mattina, misteriosamente, il ragazzo incontra proprio la protagonista del suo manoscritto nel salotto di casa . Lo scrittore è riuscito a creare una persona in carne ed ossa, speculare al personaggio dei suoi sogni. L' iniziale preoccupazione di follia lascia presto il passo ad uno stupore incredulo e, senza pensarci troppo su, i due cominciano a vivere la loro storia d' amore. Una relazione che, malgrado sia con una ragazza inventata e vicina al proprio ideale, nasconderà problemi, incomprensioni e divergenze che causeranno il logoramento della coppia e porteranno il protagonista a riflettere su di sé e sui propri sentimenti.

Una commedia romantica, fresca e brillante il nuovo film diretto a quattro mani da Jonathan Dayton e Valerie Faris, che mette in scena una storia d' amore fantasiosa e irreale ma sempre coerente, originale e curiosa. Influenzata in parte dallo stile fantasioso di Woody Allen da un lato (espresso in alcune pellicole come “La rosa purpurea del Cairo” e il più recente “Midnight in Paris”) e dalla commedia anni '60 di Billy Wilder, i medesimi produttori del piacevole “A Little Miss Sunshine” sponsorizzano una pellicola dinamica e armonica in tutti i suoi aspetti. La regia è ordinata, lineare e sorretta da sequenze ristrette che regalano grande varietà alla narrazione. L' ampio cast offre una performance di ottimo livello, soprattutto nel protagonista Dano (presente anche in “A Little Miss Sunshine”), in Antonio Banderas (il patrigno di Clavin) e nella coprotagonista Kazan, nipote del grande regista di        

venerdì 7 dicembre 2012

"Di nuovo in gioco" di Robert Lorenz


                                           
                                          ESORDIENTE IN VECCHIO STILE


                                                        voto: *          (USA-2012)


Gus Lobel (Clint Eastwood) è un anziano scout degli Atlante Braves, una delle squadre della Major league americana di baseball. Acciaccato e sempre più ombra di se stesso, malgrado il suo mordente, la passata leggenda del mercato comincia ad essere sempre più lontano anche dalla dirigenza che, non fidandosi più di lui, invia altri osservatori nelle sue zone. Preoccupazioni non peregrine, visto che ormai la vista di Gus è molto diminuita e, a causa di un grave annebbiamento, non riesce nemmeno più a vedere nitidamente il campo e i giocatori, basandosi per lo più su rumori e suoni di mazze e lanci. Intuizioni che tuttavia riveleranno a tutti il suo vero talento dato dai lunghissimi anni sul campo e non da sterili statistiche su uno schermo. Un rapporto con il suo lavoro e col baseball quasi fisico e totale quello di Lobel, che senza lavoro non è più , non esiste più, non si sente vivo. Sarà per questo motivo che Pete Klei (Goodman), vecchio amico e dirigente sportivo, rendendosi conto dei suoi problemi e del rischio che la dirigenza non gli rinnovi più il contratto, chiama la figlia Mickey (Amy Adams), la sua unica famiglia, chiedendole di andare da lui per qualche giorno. Mickey, avvocato di spicco in uno studio di Atlanta, decide dopo un iniziale rifiuto di stare per un paio di giorni dal padre per sorreggerlo e per cercare di ricostruire un rapporto compromesso da tempo per lo zelo eccessivo del genitore e la morte prematura della madre. L' inaspettato incontro porterà ad una serie di eventi che riavvicineranno i due, riportando alla luce lontane verità e restituendo un nuovo e fresco affetto ed una tenera empatia che porterà i protagonisti a capirsi, ritrovarsi e perfino a collaborare lavorativamente. Il tutto condito dalla presenza di un giovane scout, Johnny (Timberlake), ex promessa scoperta da Gus, che sedurrà la giovane, allontanandola dallo stress lavorativo per riavvicinarla all' umanità e alla passione del baseball e quindi all' affetto perduto per il padre troppo assente.

Ritorno sul grande schermo da solo attore di Eastwood , che viene diretto da Robert Lorenz che , dopo anni da produttore, produttore esecutivo e aiuto regista anche di grandi film come “Million dollar baby” e “Gran Torino”, realizza la sua prima pellicola da regista. Hollywood torna a parlare di baseball (dopo il buon “Moneyball” di Miller dell' anno scorso) dall' interno e cioè dal punto di vista dei dirigenti, scout, osservatori e addetti ai lavori. E sempre con quella tendenza manichea nel mettere a confronto la tradizione del passato e di uno sport vissuto sulla pelle, a stretto contatto col campo ed il “nuovo”, la tecnologia, il progresso, quelle statistiche che fanno valutare un giocatore solamente dai suoi dati demoscopici. Lo stile dell' esordiente autore si rivela però        

lunedì 15 ottobre 2012

"Reality" di Matteo Garrone

                                 UN  PAMPHLET SULLA CORRUZIONE MEDIATICA



                                                          voto: ***     (Italia-2011)

Luciano Ciotola (Aniello Arena) vive a Napoli con la moglie e i suoi figli. Commerciante e gestore di una pescheria, grazie anche a delle truffarelle rionali di prodotti casalinghi automatizzati riesce a sbarcare il lunario e tirare avanti.  Per assecondare un desiderio della figlia più piccola, in un centro commerciale, partecipa alle selezioni per entrare nella casa del Grande Fratello. Il semplice gioco si trasforma in realtà e il verace napoletano verrà chiamato a Roma per sottoporsi ad altri provini.  Raggiunge la capitale con la famiglia e , malgrado l’ iniziale timidezza, sosterrà l’ audizione che a detta sua è stata molto positiva e che lo proietta direttamente nella casa: la sua partecipazione al reality sembra sicura. Accolto a casa come un eroe da parte di tutti, Luciano vive momenti di popolarità cittadina e si crogiola nell’ attesa della fatidica chiamata da Roma. La comunicazione tuttavia stenta ad arrivare e in queste settimane di attesa spasmodica e trepidazione  ansiosa , mentre l’ inizio del programma si avvicina sempre di più, Luciano perde giorno dopo giorno ogni contatto con la realtà. Teme di essere perseguitato da spie del programma  che vogliono scoprire la veridicità delle sue affermazioni in provino e  per le quali comincia ad essere eccessivamente magnanimo con tutti, regalando mobili e oggetti di casa sua a totali estranei. La sua ossessione lo porta a intravedere astuti informatori televisivi dietro sommesse e austere signore devote e a stupirsi innaturalmente della presenza in casa sua di un grillo che lo guarda insistentemente. La pescheria verrà venduta perché per le future interviste non ci si può permettere di mostrarsi dei fetenti e il bagno verrà trasformato in un confessionale. La situazione è insostenibile e, capito ormai che Luciano non parteciperà a nessun programma televisione, la famiglia si unisce intorno a lui per aiutarlo in questo complesso momento. Entrerà quindi a far parte attivamente della vita religiosa cittadina,  partecipando a funzioni, celebrazioni e opere di carità, fino a recarsi a Roma per un’ importante celebrazione religiosa ai piedi del Colosseo. Ma l’ occasione è troppo allettante per l’ irrecuperabile Luciano che sgattaiolerà via per recarsi là, nella casa tanto bramata, tanto desiderata. La raggiungerà e dopo esserci misteriosamente entrato si sdraierà in giardino, dove si lascerà andare  ad  una risata liberatrice e beata  in quell’  ambiente a lungo agognato.
Una commedia satirica la nuova fatica di Matteo Garrone,  che ha realizzato un film di forte teatralità espressiva e molto vicino  alla farsa napoletana  che va a rintracciare con occhio cinico e critico la reazione sociale del pubblico di massa alla rivoluzionaria stagione dei Reality Show. Un condizionamento alienante e mediatico che si instaura nella quotidianità, disequilibrandola e rompendone  gli schemi. Un’ iperbolica visione del potere mediatico e di medium di massa della

venerdì 12 ottobre 2012

"On the road" di Walter Selles


                                                       voto: **               (USA-2012)

La generazione dei ventenni del secondo dopo guerra americano  nelle zone di New York è il fulcro di un enorme fremito  intellettuale ed evasione emotiva, che sperimenta nuovi stili di vita e ricerche spasmodiche di realtà anticonvenzionali e antitradizionali. La letteratura è centrale in questo ambiente che si rivela coacervo di slanci artistici e ricerca formale e poetica. Lo scrittore Sal Paradise (Sam Riley), pseudonimo di Jack Kerouac, l’ autore del romanzo su cui si basa l’ intero film, assorbe da questo ambiente influenze e tendenze, riscoprendo profonde amicizie, amori estremi e ispirazioni poetiche. Il giovane e ambizioso scrittore conosce Dean Moriarty (Hedlund), personaggio che si ispira al poeta Neal Cassady, compagno di viaggio di Kerouac. Fra i due si instaura subito una grande complicità che li porterà a viaggiare in continuazione per tutto il territorio statunitense e oltre:  da New York (luogo in cui fanno conoscenza) a Denver, dall’ Alabama alla California, da San Francisco a Città del Messico. Viaggi vissuti dai due alla fine degli anni ’40 e che porteranno il giovane Paradise a scrivere, recuperando  i vari appunti da viaggio conservati durante gli anni, “On the road”, romanzo autobiografico , scritto in tre settimane su un rotolo di carta da tappezzeria lungo 36 mm, divenuto il manifesto culturale della cultura “Beat” americana, la cosiddetta “Beat Generation”.
Per trasformare in immagine un libro impossibile, il regista Walter Selles (autore anche dell’ indimenticabile “I diari della motocicletta”)  ha lavorato 8 anni e percorso più di 100 mila chilometri. Per non far annoverare il suo progetto come chimera, come successe già nel 1957 (quando i si cercò di realizzare una pellicola basata sul romanzo, coinvolgendo grandi star come Marlon Brando), Selles segue la stessa logica sperimentale dei film su Guevara, partendo dalle tracce di Kerouac, sfiorando luoghi e persone che in qualche modo abbiano potuto riguardarlo, con uno sguardo prima documentaristico e poi narrativo. E ed è questo approccio che non esalta il ritmo dell’ intera opera. Realizzare un film sulla Bibbia della “Beat Generation”, un racconto di viaggio che rappresenta anche rivolta generazionale e formazione giovanile è probabilmente uno sforzo che il Cinema, in quanto mezzo artistico e linguistico, sia per limiti temporali che formali, non può soddisfare completamente  ma, tuttavia, un’ organizzazione sceneggiativa prolissa e monocorde come questa non può sicuramente ambire a invertire questa difficoltà, anche parzialmente. La scenografia e le ambientazioni, insieme all’ attenzione caratteriale ai  protagonisti e ai vari personaggi, mostrano